Walter Giubbilini

Collaborazioni

Il ruolo dell'avidità nell'atto bulimico PDF Stampa E-mail
Scritto da Walter Giubbilini   

“IL RUOLO DELL’AVIDITÀ NELL’ATTO BULIMICO”

INTRODUZIONE
Mi è parso interessante, all'inizio di una riflessione sul tema dell'avidità, indagare questo termine dal punto di vista etimologico, seguendo l'ipotesi che le radici delle parole possano in qualche modo rivelare, seguendone l'utilizzo nei vari vocaboli, collegamenti tra significanti profondi presenti nella psiche.
Etimologicamente avidità deriva da aveo: desidero ardentemente, bramo; la stessa radice di avaro, di cui sottolinea efficacemente la caratteristica propensione all'accumulo di beni più che la difficoltà a disfarsene, lasciando ipotizzare che la seconda sia solo una conseguenza della prima, fatto confermato dalla clinica psicoanalitica.
E' interessante notare che la radice sanscrita di aveo (avati) significa amare (vedi: 'ave'), collegamento suggestivo che sembra cogliere la profonda relazione psicologica esistente tra avidità e amore.
Altre interessanti connessioni emergono dall'analisi di alcuni modi di dire, come ad esempio: "Non veder l'ora di...", oppure: "Ho una fame che non ci vedo". In entrambe le frasi emerge una sottostante bramosia, un ardente desiderio che produce al soggetto, fantasticamente, l'ottenebrazione della vista. Ciò ricorda l'atteggiamento avido del cucciolo che cerca il capezzolo della madre ad occhi chiusi, per istinto e non per un atto volontario ed evoluto di coordinazione visivo-motoria. Tutto ciò rimanda quindi all'intuizione che i sentimenti avidi siano molto primitivi, già presenti quando ancora non si è sviluppato nel neonato il controllo del mondo legato alla funzione visiva, ma invece legato all'istinto e alle funzioni olfattiva e gustativa, ovvero alla zona orale. Si può osservare inoltre che, in questo contesto interpretativo, l'avidità viene a collocarsi inevitabilmente all'interno della relazione di attaccamento, cioè del rapporto d'amore primario tra madre e figlio.
A questo proposito si può osservare, come evidenzia Didier Anzieu , che la prima esperienza extrauterina e significativa che il bambino fa del mondo è relativa al rapporto bocca-seno. In particolare Anzieu distingue due serie di sensazioni legate all'allattamento: una derivante dalla suzione e l'altra dalla replezione. La prima comunica al bambino il benessere derivante dal sapore e dal calore del latte materno che invade la bocca ed è associata all'azione dei muscoli volontari della bocca e della lingua; la seconda è responsabile della sensazione di riempimento, in quanto legata al peso della massa di latte che attraversa la gola e giunge nello stomaco, ed è associata all'azione muscolare della gola e dell'esofago, in gran parte involontaria.
[....] (vedi testo completo)

 
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